Nello specifico, poco più in basso si fa riferimento ai motivi che hanno portato ad una decisione del genere, ovvero la necessità di un cambiamento a livello comportamentale, “al fine di eliminare stereotipi, pregiudizi, costumi, tradizioni e altre pratiche socio-culturali fondati sulla differenziazione delle persone in base al sesso di appartenenza e sopprimere gli ostacoli che limitano di fatto la complementarità tra i sessi nella società.” L’articolo secondo, nel definire le linee guida per l’attuazione di tale riforma, focalizza l’attenzione su: “Includere nei programmi scolastici di ogni ordine e grado, tenuto conto del livello cognitivo degli alunni, i temi dell’uguaglianza, delle pari opportunità, della piena cittadinanza delle persone, delle differenze di genere, dei ruoli non stereotipati, della soluzione non violenta dei conflitti nei rapporti interpersonali, della violenza contro le donne basata sul genere e del diritto all’integrità personale.”
E’ da sottolineare il riferimento alle fasce d’età, che non rispecchiano altro se non proprio il livello cognitivo, quindi di sviluppo cerebrale e al contempo intellettivo, dei minori di ciascun grado scolastico. Una volta comprese queste intenzioni ed i motivi sottostanti, si può comunque essere in disaccordo col proposito di educazione gender, ma si finisce con l’opporsi non ad una sola legge, quanto ai diritti dell’uomo, alle libertà fondamentali dell’individuo tutelate dalla giurisprudenza italiana. E, cosa peggiore di tutte, ci si oppone alla serenità creata solo ed unicamente dall’assenza di conflitti interpersonali ed intrapersonali in un bambino, in un adolescente, in un adulto sano e realizzato. Tuttavia, nulla garantisce che questo tipo di istruzione possa dare gli effetti sperati, soprattutto se le famiglie degli alunni saranno in netto contrasto con i princìpi sopra elencati, o che comunque la modalità scelta dal ministero sia la più efficace. In tal caso ad essere in errore sarebbe la modalità.