Nel 2016 la Johns Hopkins University School of Medicine di Baltimora tenterà di eseguire una procedura medica finora effettuata solo 2 volte, una delle quali fallita. L’intervento consisterà in un trapianto di pene su un giovane soldato, feritosi in seguito all’esplosione di una bomba in Afghanistan, da un donatore deceduto. L’annuncio è apparso sul New York Times. I chirurgi sono fiduciosi sulla buona riuscita dell’operazione e sulla possibilità di ristabilire le funzioni urinarie, la percezione e la possibilità di avere rapporti sessuali. Ancora non si conosce l’identità del ricevente in quanto i medici stanno ancora valutando tutti i possibili candidati. Il requisito base è possedere un’uretra intatta.
Dal 2001 al 2013 sono 1.367 gli uomini che, secondo il Trauma Registry del Dipartimento della difesa americano, hanno riportato ferite agli organi genitali in Iraq o in Afghanistan. La maggior parte di loro, all’epoca, aveva meno di 35 anni. “Di queste lesioni non si legge e non se ne sente parlare spesso – fa notare Andrew Lee, chairmain della Chirurgia plastica e ricostruttiva alla Johns Hopkins – Per un 20enne è devastante tornare a casa con la zona pelvica completamente distrutta“. Il trapianto in sé sarà il terzo eseguito nel mondo. Nel 2006 in Cina, il trapianto “fallì” poiché il paziente chiese la rimozione dell’organo per quello che venne definito un rifiuto psicologico. Il giovane 21enne del Sudafrica che nel 2014 si è sottoposto alla stessa procedura, aveva subito l’amputazione a seguito di una circoncisione mal riuscita. Oggi è padre.
Sebbene le rivoluzioni in campo medico siano all’ordine del giorno, restano ancora alti i rischi nel post-operatorio: sanguinamento, infezione e possibilità di insorgenza del cancro causata dall’assunzione dei farmaci per prevenire il rigetto. Questo oltre alla difficoltà stessa dell’intervento, che durerà circa 12 ore. L’istituto Johns Hopkins monitorerà con particolare attenzione i risultati e valuterà se rendere la procedura un “trattamento standard”. I medici hanno fatto sapere che il trapianto coinvolgerà solo il pene e non i testicoli. Di conseguenza, se il paziente un giorno dovesse diventare padre, il bambino sarà biologicamente suo. Nell’ipotesi di eseguire un trapianto su un paziente che ha perso completamente i testicoli, i medici sottolineano che il trapianto si baserà sempre sul pene. Quindi, in questo caso, non ci sarà la possibilità di concepire un figlio.
L’intervento, benché autorizzato, rimane ancora considerato “sperimentale”. Ai suoi medici, la Johns Hopkins ha dato il permesso di eseguire 60 trapianti di questo tipo. L’intervento in sé non è un “salva-vita” come hanno fatto notare alcuni medici. Il dottor Lee ha affermato “che i pazienti devono essere realistici e non pensare di poter recuperare tutto. Alcuni sperano di poter procreare e credo che questo sia un obiettivo raggiungibile”.