Junker – Junker, il presidente della commissione europea, massone e amico delle multinazionali (che per attirarle nel paese in cui è stato primo ministro e responsabile delle finanza, non faceva pagare le tasse in Lussemburgo con accordi sottobanco), ha annunciato un piano d’investimenti da 315 miliardi di euro, risorse che non proverranno da soldi freschi versati dai governi, ma dai “vecchi” fondi strutturali già presenti nel bilancio di Bruxelles e soldi d’investitori privati che dovrebbero concentrarsi su settori mirati per rilanciare la “crescita”.
Il nostro Presidente del Consiglio Renzi, aveva chiesto all’Europa di non calcolare gli investimenti produttivi nel calcolo del rapporto deficit/pil al 3% in modo d’ottenere quei minimi margini di flessibilità necessari per ridare ossigeno ad un’economia stagnante e in deflazione. La risposta europea risiede: nella capacità del nostro paese d’attuare le “riforme” imposte dalla troika. Solo a quel punto si potrebbero aprire margini di manovra, spiragli per dirottare risorse funzionali alla rivitalizzazione dell’economia. A questo proposito il falco Katainen (finlandese e vice presidente della commissione) ha ricevuto una brochure del nostro ministro con il piano di riforme , il quale gli ha assicurato che: “gli uffici del Tesoro aggiorneranno costantemente la commissione sui passi avanti nella loro approvazione”. Ora, i ministri dell’Ecofin discutono su come rendere permanente questo meccanismo già dall’esercizio 2015/2016. La cosa più grave risiede negli ammonimenti che i componenti dell’Ecofin hanno reiterato all’Italia, ribadendo la necessità di procedere a tappe forzate alla realizzazione delle riforme. In particolare quel simpaticone di Schaeuble, il finanzminister tedesco, ha auspicato che siano rese obbligatorie e rinforzate al massimo le Country specific recommendation, cioè le raccomandazione per le riforme per i singoli paesi e concedere margini di flessibilità solo alle capitali che le rispettano alla lettera. Non poteva essere più grande la soddisfazione di questi Euro burocrati per l’approvazione della delega al governo relativo alla riforma del mercato del lavoro con la probabile abolizione dell’articolo 18 e delle sue tutele.
L’OCSE ha annunciato che l’Italia rimarrà in recessione anche per quest’anno mentre per il prossimo avremo una “crescita” dell’0,1%. Fanalino di coda dell’Europa siamo immersi in un tunnel di cui non si vede la fine.
Incredibile come nessuno dica mai la verità sui motivi che hanno innescato la crisi, perché siamo finiti in questa situazione e quale narrazione è stata divulgato nelle masse per spingerle ad accettare provvedimenti che non risolvono nulla, aggravano la recessione e svuotano le istituzioni democratiche. Ma partiamo dall’origine della crisi: le colpe sono da addossare ad un sistema finanziario sregolato, ipertrofico, fatto crescere a dismisura per compensare la stagnazione dell’economia indotta dalla crisi dell’accumulazione produttivista, per sostituirlo con con un sistema basato sull’accumulazione finanziaria di soldi fatti con i soldi, attraverso la concessione di trilioni di crediti a imprese e famiglie da parte di società bancarie e finanziarie. Una risposta sbagliata, ma per tre decenni efficace poi entrata brutalmente in crisi a causa delle gigantesche contraddizioni e difetti di cui è portatrice. L’apparato ideologico che ha accompagnato l’affermarsi di questo sistema, è il neoliberismo. Figlio della teoria neoclassica e del monetarismo della scuola di Chicago. Senza nessun controllo, ma addirittura con la compiacenza degli organismi di controllo del mercato e dei suoi operatori, sono stati immessi sui mercati di tutto il mondo, trilioni di prodotti finanziari strutturati derivanti da cartolarizzazione (cartolarizzare significa trasformare dei crediti in obbligazioni e venderli sul mercato recuperando quanto erogato) di crediti ipotecari e non, erogati a famiglie e imprese, senza la benché minima valutazione d’affidabilità creditizia, congiuntamente a trilioni di relativi derivati con effetti leva elevatissimi: CDO (Collateralized Debt Obligations), Clo (Collateralized Loan Obligations), Abs (Asset backed securities) e i certificati assicurativi Cds (Credit default swaps). Un’eccessiva creazione di denaro dal nulla operata, da istituzioni private (le banche). Un’immissione accompagnata da voti di massima solvibilità delle Agenzie di rating (i titoli di Lheman Brothers pochi giorni prima del fallimento, avevano la tripla A considerato il voto di massima solvibilità e solidità dell’emittente). A questo, va aggiunto il correlativo sviluppo di un gigantesco sistema finanziario fuori portata delle autorità di regolazione e di sorveglianza, un sistema ombra in cui sono scambiati, over the counter (sul bancone), titoli di ogni genere, ma sopratutto derivati. Un luogo opaco in cui giocano tutte le banche del mondo e in cui si annidano rischi sistemici molto gravi e che necessità un’urgente regolamentazione e ridimensionamento. Non serve, timidamente per la verità, a regolamentare la parte visibile del sistema, quando la gran parte dello stesso sfugge completamente ad ogni forma di controllo. Tradotto: inutile chiudere la stalla quando i buoi possono scappare quando vogliono.
La prima tessera a cadere in questa crisi, è stata quella bancaria che entra in affanno nel 2007/2008 perché responsabile della creazione di questa quantità colossale di titoli di credito rivelatasi a posteriori di dubbia qualità. Poiché le banche sono fortemente indebitate, e hanno necessità quotidiana di prestiti, che sia le consorelle sia il mercato monetario rifiutano perché i collaterali che offrono valgono troppo poco, i governi le salvano con imponenti aiuti diretti e indiretti. A causa dello svuotamento del proprio bilancio cresce anche il rischio d’insolvenza degli stati, i quali si vedono costretti a emettere i propri titoli di stato con interessi sempre più alti, in una spirale che vede l’indebitamento crescere a dismisura, mentre occultando le vere responsabilità, si sposta accuratamente nello stato sociale la responsabilità di questa situazione e quindi nei cittadini che avrebbero vissuto al di sopra delle proprie possibilità necessitando, tutto ciò, di un forte ridimensionamento dei sistemi di welfare state, nonché di una loro sostanziale, progressiva privatizzazione per creare spazi nuovi alla mercificazione di ciò che prima era pubblico e universale (le famose riforme che ci chiede l’Europa). Questo in piena linea con l’ideologia neoliberista. Un sistema di pensiero basato sull’avere, la progressiva demolizione e desertificazione dei rapporti sociali e relazionali e della cooperazione economica.
Va specificato, quindi che non si è trattata di una crisi americana seguita da una crisi europea, in realtà la prima e la seconda sono due volti, o due fasi, di una medesima crisi del capitalismo finanziario. Le banche europee hanno esercitato sulle origini, la portata e lo svolgimento della crisi un’influenza decisiva. Possono essere annoverate come una delle due parti dei gemelli siamesi composti da Bce e Fed. Il sistema bancario europeo è, in realtà molto più grande di quello americano. A fine 2007, tra i primi venti gruppi bancari del mondo per volume degli attivi, ben 14 erano europei, di cui due svizzeri. Due erano giapponesi, uno cinese. Quelli americani erano solamente tre (Citigroup, Bank of America e JP Morgan).
Le banche centrali di tutto il mondo, ma in particolare la Bce, la Fed, e la banca d’Inghilterra, come abbiamo detto hanno avuto un ruolo decisivo nello svilupparsi di questa crisi finanziaria: sostegni e incentivi sono stati erogati a piene mani attraverso tassi d’interesse bassissimi per lunghi periodi; prestiti a singoli istituti concessi pronta cassa in qualsiasi momento e in qualsiasi entità; programmi di rifinanziamento a lungo termine per migliaia di miliardi; il recepimento di collaterali sempre meno solidi, la pratica d’accettare la creazione delle riserve regolamentari sempre e comunque dopo che le banche private avevano creato mediante il credito tutto il denaro che volevano. Nell’insieme la complicità e la corresponsabilità delle Banche centrali, risulta clamorosamente importante.
La Germania che ora fa la voce grossa con i paesi mediterranei considerati spreconi e non sufficientemente allineati ai dettami della troika (Commissione europea, Bce e Fondo monetario internazionale), in realtà ha erogato circa 620 miliardi di soldi pubblici alle proprie banche, in particolare a quelle regionali (landesbanken di proprietà del relativo Land), per salvarle da un default devastante dovuto ad una massa enorme di crediti avariati di cui le banche tedesche dovevano essere sollevate d’urgenza. Un sistema di casse regionali, quello tedesco, colpito pesantemente dalla crisi del 2007, complice ed opaco, fatti di scambi di favori tra politica e affari, più volte denunciato e svelato dalle cronache e dalle inchieste in corso, che è stato sottoposto ad una gigantesca operazione di ristrutturazione. Vittime del disastro capitalistico e della sua componente finanziaria, la Germania, a seguito di un progressivo processo di liberalizzazione legislativa e incentivazione della componente finanziaria della sua economia che ha portato al collasso il suo sistema bancario, ha continuato imperterrita a ergersi paladina delle dottrine neo liberiste, fallimentari e deleterie per l’economia e la democrazia, impedendo e opponendosi con ostinazione all’approvazione di provvedimenti fondamentali per il rilancio dell’economia europea (vedi quantitative easing, euro bond, flessibilità nei parametri deficit/pil, investimenti diretti a sostegno d’imprese e famiglie) soprattutto allo scopo d’impedire di ridare competitività ai sistemi industriali dei paesi mediterranei strangolati dalla camicia di forza di una costruzione monetaria, che li penalizza fortemente a vantaggio delle economie più solide della parte nord europea. Si stima che l’Italia, nei sette anni di crisi, abbia perso circa il 20% di tutto il suo apparato industriale e produttivo.
Una volta prosciugati i fondi (secondo un rapporto della Commissione Europea di fine 2010, tra ottobre 2008 e ottobre 2010 la Commissione stessa ha approvato 4600 miliardi di euro di aiuti di Stato in favore delle istituzioni finanziarie da parte di Paesi Ue, equivalenti al 37% del Pil dell’unione) gli stati si sono successivamente sobbarcati i costi della crisi sotto forma di incremento delle risorse destinate agli ammortizzatori sociali utilizzati per l’incremento della disoccupazione, causata dalla cessazione dei flussi di finanziamento al sistema produttivo da parte del sistema bancario, strangolato e dissanguato dalla distruzione dei propri attivi giocati sulla roulette finanziaria. Un credit crunch (stretta sul credito) aggravato dall’imposizione di un modello unitario di regolazione delle banche che ha inciso ulteriormente e in negativo, sul flusso di credito alle piccole imprese e sulle economie locali. Per salvaguardare il sistema dalle pressioni della finanza, è fondamentale creare un flusso di erogazione alle imprese sempre più disintermediato dalle banche attraverso la creazione di mercati di obbligazionari efficienti in cui le imprese possano raccogliere fondi senza la strozzatura del credito bancario. Rivedere i poteri della governance aziendale in cui gli share olders value (gli azionisti) non possono pretendere rendimenti assurdi dall’attività produttiva, mentre il governo dell’impresa deve essere affidato alla compartecipazione di lavoratori e manager; gli utili andrebbe ripartiti attraverso il sistema dei tre terzi: investimenti produttivi, incentivi e dividendi. Un modello d’impresa partenariale alternativa all’attuale per limitare il peso della finanza sulle imprese.
Fa ridere vedere strombazzato ai quattro venti questo famoso piano di 315 miliardi del massone, Junker, amico delle multinazionali e della finanza più spregiudicata. Dopo aver utilizzato 4,6 trilioni di euro per salvare il sistema fianaziario privato scaricandone i costi sui cittadini, pensare d’utilizzare ipotetici 315 miliardi (poi non si capisce perchè 315 e non 550 o mille) per rilanciare una unione depressa e sfiancata da una serie di stupide rigidità, da difetti strutturali gravi derivanti da errori d’architettura costitutiva e deficit democratici, e da sprechi istituzionali d’ogni tipo, fa ridere se non piangere. Nessuno conosce le aree d’intervento di questo piano, ne come sarebbero utilizzati i soldi, e quali siano le linee guida nella ripartizione di queste risorse. Ma soprattutto diventa ancor più divertente se si entra nel dettaglio di questo piano. l’Europa ne stanzierebbe soltanto 21, di cui 16 tolti ad altri fondi e 5 effettivamente messi sul piatto. Tutto questo sperando che gli stati nazionale e gli investitori privati facciano il resto e a fronte di progetti presentati dai paesi europei per 1.100 miliardi. Se questo deve essere il nuovo New Deal europeo, siamo messi proprio male. Gravati dal peso di un Terminator finanziario che andrebbe smontato al più presto prima che distrugga quanto di buono rimane dell’economia reale, veniamo presi in giro per l’ennesima volta dai nostro euro burocrati, aspettando la prossima manciata di sabbia negli occhi perché tutto cambi per continuare a rimanere come prima.