The Butler, un maggiordomo alla casa bianca. La recensione

The Butler

The Butler – Lee Daniels non è uno sprovveduto. Il regista dell’aspirante classicone americano The Butler, un maggiordomo alla Casa Bianca, uscito in Italia a Capodanno, era già stato acclamato qualche anno fa per Precious, ultradrammatica vicenda di una giovane afroamericana obesa, analfabeta, violentata dal padre e maltrattata dalla madre. Al netto della tragedia, questa volta Daniels si occupa “solo” di integrazione sociale, violenza e razzismo, temi che vengono affrontati dietro e a lato della storia principale, cioè la carriera del maggiordomo nero Cecil Gaines, interpretato da un (quasi) sempre ottimo Forest Whitaker. Il film è ispirato al libro che racconta la vera vita di Eugene Allen, maggiordomo alla Casa Bianca per più di trent’anni.

Gaines, poco più che bambino, vede il proprio padre, schiavo, morire davanti ai suoi occhi, ucciso a sangue freddo dal padrone bianco nella piantagione di cotone/lager dove la famiglia sopravvive in condizioni atroci (una piccola parte, la madre pazza, è affidata alla cantante Mariah Carey). Scappa, trova lavoro in circostanze fortuite come “negro di casa”, anche se il suo primo capo lo schiaffeggia udendo la parola con la “n”, che, gli spiega, è una parola dei bianchi ed è ricolma d’odio e pregiudizio.

L’ascesa dell’umile quanto impeccabile Cecil (per tutto il film non commette mai nemmeno un errore sul lavoro) è rapida, e nei trent’anni successivi sono sette i Presidenti degli Stati Uniti che si trova a servire, da Eisenhower a Reagan. Un elemento di interesse è proprio questo: raramente, nei film hollywoodiani, la figura del Presidente degli Stati Uniti, se presente, è relegata a un ruolo di contorno. E invece qui succede proprio questo: l’occhio di bue bagna solo marginalmente lo Studio Ovale, per puntare deciso verso le stanze più nascoste e le cucine, dove Gaines instaura una duratura amicizia con i colleghi Carter (Cuba Gooding Jr.) e James (Lenny Kravitz, altro musicista). Pur conscio del fatto che il personale nero non è retribuito come quello bianco, a parità di tempo e bravura, non è la vita lavorativa il problema di Cecil. A casa ci sono una moglie che beve (ben interpretata dalla regina della tv spazzatura statunitense Oprah Winfrey), un figlio progressivamente sempre più impegnato nella causa delle Pantere Nere, con corollario di arresti e attentati da parte del Ku Klux Klan, un altro figlio che si arruola e parte per il Vietnam…

Ed è forse tutto questo che, in fondo, manda un po’ alla deriva il film. In The Butler, un certo impegno civile e sociale coesiste con la voglia di fare un filmone epico ed enfatico all’americana, e i due fattori raramente appaiono in equilibrio. Non c’è niente, insomma, che faccia fare il salto di qualità al film: né il cast, pur parecchio ricco (oltre ai già citati, ci sono Robin Williams, John Cusack, Vanessa Redgrave, Jane Fonda…), né la ricostruzione storica, pur credibile (la scelta tra la nonviolenza di Martin Luther King e la lotta radicale di Malcolm X è solo un esempio), né i costumi, il trucco o gli ambienti, pur ben curati. Il film di Lee Daniels resta un buon film, a suo modo abbastanza asciutto nei momenti più drammatici (e la cosa è un pregio, naturalmente), ma non sfiora nemmeno i piani alti del grande cinema civile americano. Con The Butler, parliamo, più serenamente e senza vergogna, di intrattenimento di qualità.