Synecdoche, New York di Charlie Kaufman: la Recensione

Synecdoche, New York

 

Il film in lizza a Cannes nel 2008,  “Synecdoche, New York”, diretto da Charlie Kaufman è uscito nelle sale italiane il 19 Giugno scorso. La pellicola può essere vista sotto vari aspetti, può essere interpretata in vari modi, ma in definitiva racconta la storia di un regista teatrale che, causa problematiche complesse, perde il senso della realtà. Egli in definitiva vive una vita fuori dalla vita stessa, da spettatore, lasciando la scena ad attori in duplice copia che la portano a compimento in un set teatrale ampissimo, non in senso metaforico, ma nel senso della storia narrata così com’ è. “Synecdoche, New York” è un film dal titolo che è un gioco di parole: prende spunto da Schenectady, New York, luogo nel quale è ambientato e da sineddoche, quel procedimento linguistico per cui vi è un’ associazione letterale/ideologica fra due termini i quali stanno in riferimento l’ un con l’ altro secondo quantità (es. Inghilterra per Regno Unito).

Nel caso specifico il gioco può essere visto come Schenectady, New York per New York. Della durata di 124 minuti e prodotto negli Usa, il film vede come soggetto, sceneggiatura, regia e anche ed in parte produzione Charlie Kaufman. Il distributore italiano della pellicola è la BimDistribution. “Synecdoche, New York” era pressoché sconosciuto in Italia nel 2008 (anno della sua uscita) ma, complice la prematura e recente scomparsa del protagonista maschile del film, il compianto Philip Seymour Hoffman, il film è stato distribuito in Giugno nelle sale, tant’ è che si parla già di “testamento” di Seymour Hoffman, così capace di portare in scena il ruolo di protagonista – in questo caso di attore a tutto campo, il che è ciò che il film e Kaufman gli chiesero -.

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Oltre a Philip Hoffman, degne di nota sono le figure femminili nei ruoli associati al biondo attore. In particolare, in “Synecdoche, New York” sono lodevoli le interpretazioni di Catherine Keener, Michelle Williams, Samantha Morton, Emily Watson. Il cast scelto da Kaufman è dunque ottimo. Il regista, prima di “Synecdoche, New York” si era distinto come produttore e sceneggiatore in opere del calibro de “Il ladro di orchidee”, “Essere John Malkovich”, “Se mi lasci ti cancello”. In “Synecdoche, New York”, Kaufman è giunto a compimento di un film che per una prima parte risulta essere un film intenso e descrittivo, mentre in una seconda parte risulta essere l’ esplosione di significato che il film vuole veramente trasmettere; a tal proposito e di rimando è bene tenere presente la viva collaborazione di Kaufman con Gondry e Jonze, per avere un rimando all’ esplosione di significato che il regista, nato proprio a New York, ci vuol passare con questa pellicola.

Come accennato in precedenza, “Synecdoche, New York” è prima di tutto un film che racconta una storia, il cui il prologo è costituito dalla vita bizzarra e problematica del protagonista (Hoffman), il regista teatrale Caden Cotard il quale, dopo aver vinto un importante riconoscimento in campo teatrale, decide di portare in scena un’ opera mastodontica. A causa dell’ aggravarsi della propria “condizione patologica”, però, si estranea dalla propria esistenza per portarla in scena senza mai arrivare ad una conclusione…. in mezzo a tutta questa incompletezza della propria professione e della propria vita, la morte di padre e madre, le relazioni complicate e la separazione dalla moglie artista/pittrice che se ne va a Berlino, gli amori, le sedute di psicanalisi, i tormenti ed altro. Quel che è certo è che la difficoltà della lettura e dell’interpretazione di questo film sta tutta nel dare un senso a questa seconda parte di pellicola, che occorre di un’ accurata analisi condotta con lucidità, una lucidità che, data la composizione registica della stessa direzione di Kaufman e la regia incompiuta, astratta ed effimera di Caden Cotard, viene messa a dura prova, tant’ è che in tanti sostengono che il film, per essere apprezzato, abbisogni di una seconda visione.

Punto numero due è il concetto di “morte” che Charlie Kaufman in “Synecdoche, New York” porta in scena. Cotard Caden è ipocondriaco, timoroso di qualsiasi tipo di malattia o infezione od altro, ma soprattutto terrorizzato dalla morte, motivo per cui ad un tratto “smette di vivere” e porta tra le prove sceniche un alter ego della propria vita reale; il rifiuto della morte diventa quindi rifiuto della vita. Questa, in sintesi, è una panoramica di ciò che “Synecdoche, New York” è a livello logico ed interpretativo; per quel che riguarda i protagonisti del film, come già detto un plauso va all’ intero comparto femminile. Per ciò che riguarda Philip Seymour Hoffman una performance di spessore, con l’ attenuante che il personaggio rappresentato è geniale di suo. Con la propria valigia d’ attore, di certo Hoffman non ha trovato particolari problemi nell’ interpretare un personaggio problematico, con tutto che gli è riuscito molto bene, consci che a volte le insidie maggiori per un attore stanno nel portare in scena personaggi meno geniali.

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La stampa italiana ed estera è, come da copione, non concorde in tutto e per tutto. Fra i quotidiani statunitensi ed italiani non si trova un filo conduttore. Di certo siamo al cospetto di un film che dà ampio margine di analisi: va da sé, quindi, che sui quotidiani c’ è chi grida al capolavoro, chi al film che non ti aspetti e chi al lavoro degno di menzione, ma anche chi si sbilancia negativamente parlando di “masturbazione registica” , chi di metacinema inconsistente, chi lo giudica troppo consistente e troppo elaborato e chi mastodontico e mastodonticamente presuntuoso. E’ noto, però, che la genialità o la follia in genere, cioè ciò che è alieno alla consuetudine nasce, in primis, per dare modo agli astanti di schierarsi, chi dall’ una, chi dall’ altra parte.
Buona visione.