La riforma del lavoro proposta da Matteo Renzi ha scatenato l’ira di sindacati (in particolare di Susanna Camusso e della Cgil), opposizione e minoranza del Partito Democratico, rappresentata dalle parole dell’ex segretario Pierluigi Bersani: “Quelle del premier sono intenzioni surreali. Renzi deve rispettarci, proprio come fa con Verdini e Berlusconi”. Lo scontro politico sembra essersi acceso e focalizzato sul superamento dell’articolo 18. Tuttavia, sono molte le linee guida dettate dal governo: ecco una guida alla riforma del lavoro delineata da Matteo Renzi.
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CONTRATTI A TUTELE CRESCENTI – Nel processo di semplificazione, fortemente voluto da Matteo Renzi nella sua riforma, rimarranno solo due tipologie di lavoro: autonomo e dipendente. Quest’ultimo si suddividerà a sua volta in lavoro a tempo determinato e lavoro a tutele crescenti. Verrà invece eliminato il contratto di lavoro a tempo indeterminato, il “posto fisso” insomma, che rimarrà in vigore solo per i lavoratori attualmente protetti dall’articolo 18. Infatti, il contratto di lavoro a tutele crescenti varrà solo per i dipendenti assunti dopo l’entrata in vigore della legge.
Inoltre, gli imprenditori saranno incentivati ad assumere dipendenti non più a tempo determinato, bensì con un contratto a tutele crescenti: in che modo? Semplice: assumendo con il contratto a tutele crescenti l’azienda godrà di alcuni incentivi, in termini di sconti sul costo del lavoro. E se un’azienda assumesse un lavoratore con tutele crescenti, godendo quindi degli incentivi statali, per poi licenziarlo? L’impresa dovrebbe restituire allo Stato tutti i benefici ricevuti, in quanto nei fatti questo si tratterebbe di un contratto a tempo determinato.
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SUPERAMENTO DELL’ARTICOLO 18 – L’articolo 18 garantisce ai dipendenti, in caso di licenziamento illegittimo, una reintegra nel proprio posto di lavoro ed un’indennità pagata dall’azienda. Da molti questo viene visto come un disincentivo agli investimenti stranieri in Italia: per questo motivo, Renzi propone che il diritto di reintegro rimanga solamente in caso di licenziamento discriminatorio (per motivi razziali, politici, religiosi, appartenenza sindacale). In tutti gli altri casi di licenziamento, i dipendenti non saranno reintegrati , ma i datori di lavoro dovranno pagare un’indennità economica crescente in rapporto agli anni di servizio prestati.
Oltre all’indennità pagata dall’impresa, tutti i lavoratori licenziati avranno il diritto di ricevere un’indennità di disoccupazione da parte dello Stato: l’Aspi (assicurazione sociale per l’impiego). Tuttavia è importante sottolineare come questa indennità statale avrà un tetto massimo (nel 2014 era di 1165 euro mensili) ed anche una durata massima (ad oggi di 18 mesi, ma potrebbe essere prolungata a 24). Infine, coloro che beneficeranno dell’Aspi non potranno rifiutare offerte di lavoro congrue: in caso contrario, questi cesserebbero di percepire la loro indennità.
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LA POSIZIONE DEI PARTITI SULLA RIFORMA – I sindaci e la minoranza del Partito Democratico vorrebbero imporre una durata massimo al contratto a tutele crescenti: questo varrebbe solo per i primi tre anni. Passati questi tre anni di lavoro, per tutti i dipendenti tornerebbe la protezione dell’articolo 18 e quindi la possibilità di essere reintegrati nel posto di lavoro. Al contrario il Nuovo Centro Destra spinge per un eliminazione totale dell’articolo 18, insistendo sul solo utilizzo del contratto a tutele crescente. Infine i Renziani stanno pensando di prevedere l’articolo 18 o a una certa età del lavoratore o dopo un certo numero di anni di servizio, ancora da quantificare.