“Nessun colpevole perché non ci fu nessuno stupro”, questa la decisione della Corte di Appello riguardo la vicenda di una ragazza di 29 anni. La vicenda è avvenuta sei anni fa durante una festa alla Fortezza da Basso: sei giovani, con età compresa tra 20 e 25 anni, furono accusati e condannati per stupro nei confronti di una ragazza che, all’epoca dei fatti, aveva 23 anni in un’auto parcheggiata nelle vicinanze. I ragazzi vennero condannati per aver abusato della condizione di inferiorità psichica e fisica della ragazza che, secondo le analisi, era ubriaca.
I giudici della Corte di Appello, invece, hanno ritenuto che la ragazza fosse consenziente. Hanno affermato che sussistono molte contraddizioni nel suo racconto, tanto da definire la sua versione come “vacillante” e smentita clamorosamente dai riscontri. I giudici ritengono che i ragazzi autori dello stupro potrebbero aver “mal interpretato” la disponibilità della ragazza ma che poi non vi sia stata “alcuna cesura apprezzabile tra il precedente consenso e il presunto dissenso della ragazza, che era poi rimasta ‘in balia’ del gruppo”.
La ragazza, visto quanto accaduto, ha deciso di sfogarsi su internet. Ecco il suo sfogo integrale:
Ogni maledetta volta dopo aver lavorato su me stessa, cercato di elaborare il trauma, espulso da me i sensi di colpa introiettati, il fatto di sentirmi sbagliata, sporca, colpevole. Dopo aver cercato di trasformare il dolore, la paura, il pianto in forza, in arte, ecco un altro articolo che parla di me. E io mi ritrovo catapultata di nuovo in quella strada, nel centro antiviolenza, nell‘aula di tribunale. Tutto questo mi sembra surreale come un supplizio di Tantalo.
La memoria é una brutta bestia. Nel corso degli anni si dimenticano magari frasi, l’ordine del prima e dopo, ma il corpo sa tutto. Le sensazioni, il dolore fisico, il mal di stomaco, la voglia di vomitare, non si dimentica.
Che poi quanti sforzi ho fatto per ritornare ad avere una vita normale, ricominciare a studiare, laurearmi, cercare un lavoro, vivere relazioni, uscire, sentirsi a proprio agio nel proprio corpo, nella propria città. E quante volte sono stata invece redarguita dal mio legale, per avere una “ripresa”. Per sembrare andare avanti, e non sconfitta, finita. “La vittima deve essere credibile”. Forse se quella volta avessi inghiottito più pasticche e fossi morta sarei stata più credibile? Forse non li avrebbero assolti dall’accusa di stupro?
Essere vittima di violenza e denunciarla é un’arma a doppio taglio: verrai creduta solo e fin tanto che ti mostrerai distrutta, senza speranza, finché ti chiuderai in casa buttando la chiave dalla finestra, come una moderna Raperonzolo. Ma se mai proverai a cercare di uscirne, a cercare, pian piano di riprendere la tua vita, ti sarà detto “ah ma vedi, non ti é mica successo nulla, se fossi stata veramente vittima di stupro non lo faresti”. Così può succedere quindi che in sede di processo qualcuno tiri fuori una fotografia ricavata dai social network in cui, a distanza di tre anni dall’accaduto, sei con degli amici, sorridi e non hai il solito muso lungo, prova lampante che non é stato un delitto così grave. Fondamentale, ovviamente.
A sette anni di distanza ancora ho attacchi di panico, ho flashback e incubi e lotto giornalmente contro la depressione e la disistima di me. Non riesco a vivere più nella mia città, ossessionata dai brutti ricordi di quello stupro e dalla paura di ciò che la gente pensa di me. Prima la Fortezza da Basso era un luogo pieno di ricordi positivi, la Mostra dell’Artigianato, il Social Forum Europeo, i numerosi festival e fiere. Adesso é un luogo che cerco di evitare, un buco nero sulla mappa della cittá di Firenze.
Mi é stato detto, é stato scritto, che ho una condotta sregolata, una vita non lineare, una sessualità “confusa”, che sono un soggetto provocatorio, esibizionista, eccessivo, borderline. C’é chi ha detto addirittura che non ero che una escort, una donna a pagamento che non pagata o non pagata abbastanza, ha voluto rivalersi con una denuncia.