Ad aprire le danze è stato il celebre Massimo Campanini, professore di Storia dei paesi islamici all’Università di Trento. Il professore, un vero e proprio islamologo, che talvolta ha messo in difficoltà noi interpreti con qualche termine in lingua araba. Massimo Campanini ha spiegato come l’identità musulmana abbia origine dall’appartenenza religiosa. Per questo motivo la umma, ovvero la comunità dei credenti che qualcuno considera carismatica, assume un ruolo di fondamentale importanza. L’appartenenza alla umma può però implicare l’esclusione e l’emarginazione dei non-credenti, tuttavia il Corano (e qui Campanini ha citato numerosi versetti) sottolinea che sono solo i pii a essere graditi a Dio. La giurisprudenza inoltre sviluppa il fondamentale concetto di dhimma o minoranza protetta. Ai nostri giorni, ha puntualizzato il professore, ha dialettica inclusività – esclusività caratterizza particolarmente il radicalismo o fondamentalismo islamico.
Il testimone è poi passato ad Annalisa Frisina, professoressa di Sociologia all’Università di Padova, che si è proposta di raccontare la diversità religiosa e di promuovere il pluralismo per arrivare a una collaborazione tra ricerca sociale e cinema. La Frisina ha spiegato come oggi i sociologi siano chiamati a fare sociologia anche attraverso racconti audio-visuali con video di ricerca. Partendo da un’indagine sui cambiamenti nel panorama socio-religioso italiano, la professoressa ha poi proiettato un video sui “Giovani sick italo-indani”, frutto di un’etnografia collaborativa che ha coinvolto anche la collega Bertolani a Reggio Emilia. Annalisa Frisina ha concluso il suo intervento sostenendo l’utilità conoscitiva e pragmatica di questo modo di fare ricerca sociale, invitando sociologi e cineasti a sperimentare sempre di più percorsi tra cinema e ricerca sociale che ha definito “ibridi” per contribuire al riconoscimento della crescente diversità religiosa presente in Italia.
Il terzo relatore, don Donato Lacedonio, sacerdote salesiano professore delle Facoltà di Scienze della Comunicazione sociale all’Università Pontificia Salesiana, ha puntato l’attenzione sugli schermi in cui vediamo le immagini, viste come superfici di conoscenza, incontro e comprensione. Donato Lacedonio ho cominciato il suo intervento con un excursus sulla storia del cinema, dai fratelli Lumière a oggi, evidenziando come la rappresentazione della diversità e dell’alterità siano intrinseche e connaturate nel cinema. Basti pensare agli anni 80, quando ci si stupiva di fronte a film che mostravano le altre realtà, mentre ora la diversità e l’altro sono “normali” in questo mondo. Ai nostri giorni, ha spiegato Donato Lacedonio, le conoscenze narrative possono essere trasmesse grazie alla narrazione audio-visiva e hanno la possibilità di essere raggiunte da un numero sempre crescente di schermi. Il racconto della diversità e dell’alterità però non tocca la sfera religiosa, il sacerdote cita come esempi alcuni film e serie televisive che o non si curano di salvare il patrimonio religioso dell’umanità o che, come nel caso di “Lost”, mostrano come “soluzione finale” una sacrestia in cui sono riuniti i simboli religiosi di tante credenze religiose (cosa piuttosto impossibile).