CINA – Viene paragonata a un’apocalisse l’ondata di inquinamento che in questi giorni sta mettendo in ginocchio la Cina. L’intero paese è, di conseguenza, bloccato. Sono stati cancellati voli e chiusi interi rami autostradali: la visibilità è di massimo 500 metri. Sembra che ad aggravare l’inquinamento sia stata l’accensione dei riscaldamenti, molti dei quali a carbone, avvenuta soprattutto nel nord del paese nei giorni scorsi. Gli ecologisti parlano del livello “più alto mai registrato nel mondo”.
Il livello di allerta è preoccupante. Nelle zone dove l’inquinamento è maggiore, le particelle rischiose per la salute sarebbero 1400 grammi per metro cubo, ossia 56 volte il limite massimo (25 microgrammi per metro cubo) definito dell’OMS, l’Organizzazione Mondiale della Sanità. Solo il 9% dell’intera popolazione cinese sta, al momento, respirando “aria pulita”. Le zone maggiormente colpite sono la capitale Pechino, la città portuale Tianjin e numerosi centri delle province del Liaoning, Hebei, Henan ed Heilongjiang.
Ieri ad un meeting del Consiglio Cinese per la Cooperazione Internazionale su Sviluppo e Ambiente, il ministro per la Protezione Ambientale, Chen Jining, aveva affermato di voler rafforzare le misure di sicurezza per l’ambiente. Il suo piano prevedeva di attuare tali manovre di prevenzione nei prossimi cinque anni. L’emergenza chiamata “apocalisse dell’aria”, però, non ha atteso che lo Stato si preparasse adeguatamente ad affrontare l’inquinamento. Il 20 ottobre, il servizio meteorologico aveva annunciato che grandi territori del nord erano coperti dallo smog. I livelli di inquinamento, dunque, erano alti già da tempo ed erano già stati fatti notare dai servizi nazionali. Nessuno però sembra avervi dato troppo peso.