A poche settimane dal voto del 23 giugno il confronto tra sostenitori e oppositori della Brexit si fa acceso, e il fronte favorevole alla permanenza della Gran Bretagna nell’Unione Europea diventa sempre più trasversale. Il Cancelliere George Osborne si ritrova così a schierarsi al fianco dell’ex cancelliere laburista Ed Balls e dell’ex viceministro dell’economia Vince Cable in chiave anti-Brexit. Da rivali ad alleati, insomma. Osborne ha precisato che “Il fatto che siamo tutti e tre insieme contro la Brexit non è il segnale di una cospirazione ma di un consenso e di una consapevolezza che vanno oltre ogni possibile dubbio. La Gran Bretagna starà peggio fuori dall’Ue, andarsene significa comperare un biglietto senza ritorno verso la povertà”.
I tre leader hanno inoltre sottolineato come l’eventuale uscita della Gran Bretagna dal mercato europeo potrebbe costare a Londra su base annua circa 200 miliardi di minori entrate commerciali e ulteriori 200 miliardi di mancati investimenti. L’attacco anti-Brexit fa seguito alle polemiche del fine settimana suscitate dalle affermazioni dell’ex sindaco di Londra Boris Johnson, che ha paragonato l’Ue a Hitler. Parole imbarazzanti che hanno rinsaldato il fronte contrario alla Brexit.
Nel frattempo anche l’agenzia di rating Fitch ha lanciato l’allarme sulle conseguenze di una vittoria del fronte Leave. In un rapporto l’agenzia ha infatti reso noto che in caso di vittoria del no alla permanenza nella Ue il rating britannico potrebbe essere abbassato. Fitch sottolinea inoltre che la Brexit potrebbe avere forti impatti sull’export verso il Regno Unito colpendo i principali esportatori di prodotti e servizi Oltremanica, cioè Irlanda, Belgio, Lussemburgo, Cipro e Malta, ma anche sul fronte finanziario. A farne le spese sarebbero soprattutto Francia, Germania, Irlanda, Spagna e Lussemburgo, ovvero i paesi le cui banche hanno maggiori legami con il Regno Unito. Non è inoltre da escludere, continua Fitch, che la Brexit inneschi altre uscite dalla Ue, fomentando i partiti euroscettici e, nello scenario peggiore, provocando un aumento degli spread, cioè i differenziali rispetto ai bund tedeschi, dei paesi periferici (tra i quali l’Italia, ndr.).
Nonostante il moltiplicarsi delle voci a favore del sì alla permanenza nella Ue, lo scarto del fronte “Remain” rispetto a quello “Leave” non è netto. Gli ultimi sondaggi parlano di un vantaggio di pochi punti percentuali. In particolare ancora diviso sembrerebbe essere il fronte delle imprese. Nonostante la maggioranza sia favorevole al mantenimento dello status quo, 300 tra imprenditori e manager si sono schierati a favore del Leave pubblicando una lettera sul Daily Telegraph in cui scrivono che “La burocrazia europea complica il business a tutte le imprese del Paese”. La partita sembra quindi tutt’altro che chiusa e l’esito del referendum potrebbe dipendere dal 10-12% di elettori ancora indecisi.