Certo non è facile ricondurre le nostre esistenze ad un qualcosa di definito, cosa che si fa spesso. Ma dico il cercare di consolidarsi con ciò che qui c’è e qui abbiamo, sebbene spesso ci si ritrovi nell’impossibilità di definire ciò che davvero possiamo afferrare di vero e tangibile; è con questo pensiero che mi piace sentire il primo brano “Niente da capire” : come se qualcosa che tutti quanti ci affanniamo ad avere sia spesso inconsistente così come ciò che si deve capire, cioè nulla. Per questo motivo De Gregori coglie immagini di vite e d’amore associate all’abbandonarsi della nostra esistenza e sorridere di noi e di ciò che siamo.
La raccolta di immagini è un motivo che si ricollega al secondo pezzo: “Cercando un altro Egitto”, in cui anziché cogliere fantasmi di vita ed amore De Gregori prende l’essenza dell’immagine stessa, ossia il sogno, trasportandolo in un brano che racconta di sentimenti, caos, terra e passato, quasi spezzato dalla frase “ e loro dicono non è più vero niente” in un rincorrersi di fantasia la realtà, colta dalla frase in prospettiva: “ … i bambini, i bambini sono tutti a giocare”. E’ nella conclusione di testo che De Gregori scaccia “l’amore curioso” dal proprio sogno : “amore!, Amore naviga via devo ancora svegliarmi.”
Era il 1974 quando uscì “Francesco De Gregori”, ma la terza traccia è la fine di ogni nostra storia d’amore, anche le attuali e le precedenti, con il volersi sentire addosso la ragione di ciò che è successo. Il “Dolce amore del Bahia” è la nostra storia d’amore e di odio, è tutto il nostro rimpianto per i nostri giorni e per le nostre vite assieme, ma con la voglia di schizzare in un altro contesto alla ricerca di un amore che sarà e che non si fermerà dove già è stato, il tutto nella contraddittoria frase a doppia visuale: ”ma io sono stato dove tu mai”. A prescindere da “Vincent” di McLean, testo a cui “Informazioni di Vincent” fa riferimento, De Gregori in questa canzone parla di ogni nostra brutta interpretazione, riferendosi alla pochezza di tante nostre “imprese” e “attenzioni”, ma rimanendo speranzoso che la pagina possa essere voltata, consapevole che “…non c’è proprio niente che non va”, e che è possibile raggiungere le cose davvero importanti e vere ed essenziali.
Così come la pioggia il primo Maggio o come la pioggia a Seattle, o come la pioggia qui al Nord, comunque vera, certa ed essenziale per il mantenimento sia delle nostre certe tristezze sia di tutti i giorni belli. Per questo in “Giorno di Pioggia” De Gregori prende tante tristi immagini e le riconduce ad una giornata piovosa, quasi a voler sancire che si, esistono, ma non per sempre. Il tutto intelligentemente scandito da azioni figlie della pioggia, che come la pioggia raccolgano l’essenza della provvisorietà ed incomprensione.
Un tema triste se vogliamo, così come in “Bene”, uno scorcio autobiografico con riferimenti alla propria infanzia per parlare di una storia d’amore: entrambe le situazioni sono sviluppate in modo parallelo e nostalgico. L’importanza delle cose, degli ambienti passati contrapposti alle proiezioni delle storie recenti, senza dare riferimenti temporali; il tempo della settima traccia “Chissà dove sei”, invece, è brevissimo: 90 secondi per una canzone d’amore, con figure astratte di se e di Lei, perduta nei segni e le sue speranze di vittoria.
Tre storie sempre astratte, ma dedicate ad un uomo, Lupo, amico di De Gregori e partito per “il grande viaggio” troppo presto. Tre storie d’amore astratte di un’intensità memorabile, tutte concluse con un ritornello che esorta al non possesso delle stesse storie narrate ed all’incapacità del cantautore di poterle definire entro una conoscenza fisica: “la casa”. “A Lupo”, ottavo brano dell’album, è una canzone tale riempire le insonni ore notturne: “riuscirono a fuggire proprio a mezzanotte, senza colpo ferire senza fare rumore…”, ed il cuore di Lupo che non è qui per poter giurare “sulla sua bambina” proprio come era solito fare.
“Arlecchino” costituisce la metafora di una vita artistica e delle vicissitudini di un uomo, del mondo che lo circonda e di come questo mondo sia riconducibile ad una gabbia (“cella”), senza troppo credere ad una libertà di espressione . Ciòche in “Finestre di dolore” è il Leitmotiv di un intero testo (libertà di espressione) che risulta difficilmente descrivibile. Esistono opere artistiche di difficile interpretazione o forse talmente grandi che chi ne scrive non è in grado di giudicare completamente. Mi sento troppo piccolo per le “Finestre di dolore” di De Gregori, mi sento piccolo al cospetto di un grande prodotto artistico troppo grande per poter aver un giudizio oggettivo. Una canzone accompagnata da sola chitarra è un’ esplosione di significati. Ed Io, che mento nel credere di averla capita, voglio rimanere come il Giuda descritto nel testo: “ …e Giuda era ancora un ragazzo”. Il disco si conclude con “Souvenir”, uno spiraglio d’amore e di durezza, con un pizzico di auto ironia malinconica :” … e faccio di mestiere il venditore di risate, al circo che si tiene al Lunedì ragazza mia ci andresti mai? .. “.