Una terribile piaga che non si riesce ad arginare. Il commercio illegale di animali selvatici, infatti, non solo non si ferma, ma continua a mietere vittime e ad “arricchire” coloro che sono coinvolti in questa terribile scia di sangue. Pare, infatti (anche se non si tratta di cifre ufficiali) che questo traffico illecito garantisca profitti compresi fra i 7 e i 23 miliardi di dollari annuali, uccidendo o sradicando dal loro habitat naturale diverse specie che vengono poi vendute a collezionisti, oppure come cibo, ornamenti e medicinali.
Stando agli ultimi dati riportati da un articolo della BBC, questa macabra forma di commercio starebbe continuando a devastare diverse specie, alcune delle quali sarebbero anche a rischio estinzione. Ad esempio, il governo della Tanzania ha riportato che in appena cinque anni (dal 2009 al 2014) la popolazione di elefanti è crollata del 60%, passando da 109mila a 43mila esemplari. Ma questi traffici si allargherebbero a numerosi animali, tra i quali vi sarebbero scimpanzé, rinoceronti, rettili e uccelli, per non parlare delle stragi dei cuccioli.
Fra tutti, però, i più perseguitati risulterebbero i pangolini, mammiferi molto simili a dei formichieri corazzati che, per difendersi dai predatori, di solito si chiudono a palla come fanno gli armadilli. Siccome sono molti i Paesi che ne apprezzano sia la carne che le scaglie, pare che si tratti della specie più venduta illegalmente nel mondo, con almeno 100mila esemplari che ogni anno verrebbero catturati selvaggiamente e uccisi, e trasportati soprattutto verso la Cina e il Vietnam.
Di recente, a Londra, durante una conferenza dedicata proprio al preoccupante tema del traffico illecito di animali selvatici, è stata manifestata la necessità di rendere questa violenta pratica un vero e proprio crimine organizzato internazionale, per far sì che il denaro guadagnato illegalmente possa essere sequestrato, congelato e confiscato, affinché non venga riutilizzato per altri scopi criminosi. Il problema più complesso da risolvere nella lotta a questa terribile piaga risiede nelle difficoltà a tracciare i profitti delle attività commerciali, che attualmente non permettono di individuare le organizzazioni criminali che sono ai vertici dei traffici.
Ad esempio, nel 2014 in Indonesia è stato rintracciato e arrestato un giovane ufficiale di polizia, condannato dalla Corte Suprema a 15 anni di detenzione per riciclaggio di denaro sporco, contrabbando di carburante e disboscamento illecito. Gli inquirenti, infatti, si erano accorti che sul conto del poliziotto erano stati versati improvvisamente circa 127 milioni di dollari. In Uganda, invece, nel 2017 sono state scoperte tre persone dedite al commercio illegale di avorio. Costoro sono stati accusati sia di possesso illecito di specie protette, sia di riciclaggio di denaro, poiché almeno 190mila dollari erano finiti sui loro conti tra Laos e Uganda.
Tornando al 2014, l’ufficio antiriciclaggio della Thailandia ha avviato un’inchiesta su un gruppo di bracconieri che catturavano e trasportavano diverse specie verso la Cina. Nel corso dell’indagine, gli inquirenti sono riusciti a scoprire e a porre sotto sequestro numerosi beni del valore complessivo di circa 36 milioni di dollari. Nonostante il grande impegno profuso dalle istituzioni di tutto il mondo, è ancora troppo poco per minare alla base le organizzazioni che gestiscono questi massacri di animali per denaro, e proprio per questo motivo si continua a chiedere a gran voce che vengano introdotti dei reati internazionali specifici che possano non solo facilitare le indagini, ma anche consentire alle forze di polizia di agire con maggiore tempestività ed efficacia.
Patrizia Gallina