Sta diventando sempre più amaro il cioccolato italiano. No, non stiamo parlando di una nuova scelta di gusto da parte dei nostri maestri cioccolatieri, ma dell’ennesimo fallimento fatto segnare in queste ultime ore dall’imprenditoria tricolore. Infatti, in Piemonte, dopo il caso-Pernigotti e la chiusura dello stabilimento, è arrivata anche la dismissione della Peyrano, altro storico laboratorio artigianale torinese.
Proprio questa settimana, purtroppo, Jacopey Cioccolato, la società alla quale i fratelli Peyrano si erano associati per rilevare il brand, ha depositato i registri contabili in tribunale. Sembra che i debiti dell’azienda di Torino ammontassero a circa 5 milioni di euro, una somma troppo elevata per andare avanti nella speranza di una ripresa. C’è da sottolineare che la ditta già da qualche tempo era in affanno: ad esempio, nel maggio dello scorso anno ad alcuni laboratori erano stati apposti i sigilli per il mancato pagamento dell’affitto dei locali, per non parlare degli stipendi che ormai non venivano più riconosciuti ai dipendenti da diversi mesi. Nonostante i vari tentativi di trovare una soluzione, alla fine la Peyrano ha dovuto arrendersi, e Jacopey Cioccolato ha comunicato ufficialmente il fallimento dell’azienda. A questo punto toccherà al curatore fallimentare il compito di stilare l’elenco dei creditori.
La cioccolateria Peyrano vantava una storia ormai centenaria, essendo nata ufficialmente nel 1915 nei pressi del fiume Po, a Corso Moncalieri. Divenuta celebre come fornitrice ufficiale della Real Casa dei Savoia, l’azienda è riuscita ad ampliarsi nel tempo, arrivando ad occupare le principali riviste di moda negli anni ’70 ed esportando i suoi prodotti in giro per il mondo. Gli ultimi proprietari sono stati Bruna e Giorgio Peyrano. Tra le produzioni di vanto della cioccolateria ci sono sempre stati i tradizionali gianduiotti, “vanto e simbolo della città di Torino”.
Purtroppo la triste conclusione dell’attività della Peyrano fa il paio con la vicenda della Pernigotti che ha chiuso ufficialmente i battenti al termine di un incontro tenutosi al Ministero del Lavoro tra i proprietari, i sindacati e alcuni rappresentanti del governo. L’unica via d’uscita è stata proprio la dismissione finale dell’unico stabilimento di Novi Ligure, sancito da un accordo sottoscritto il 6 febbraio che ha fatto scattare per i dipendenti la cassa integrazione straordinaria.
Patrizia Gallina