Jurassic Park si accinge a diventare realtà. Non saranno i colossali dinosauri a rivivere, ma alcune specie estinte ritenute importanti per l’equilibrio ambientale. Pascoli dominati da mammut e buoi primigeni? Cieli padroneggiati da colombe migratrici? Non è una science fiction, ma un progetto reale portato avanti dall’Università di Harvard e dalla fondazione Revive and Restore di San Francisco. Le possibili strade per favorire il “ritorno alla vita” degli estinti sono tre: incroci a ritroso, clonazione e ingegneria genetica basata sul taglia-incolla del DNA. La prima tecnica consiste nel far incrociare tra loro specie diverse con caratteristiche simili a quella estinta, fino ad ottenere una versione che assomigli all’animale scomparso. La clonazione, che ha invece a che fare con i nuclei cellulari, è una strada già battuta. Nel gennaio del 2000, morì Celia, l’ultimo esemplare di bucardo, un mammifero simile allo stambecco. Il 30 luglio 2003 gli scienziati trasferirono il nucleo di una sua cellula nella cellula uovo di un parente vicino per creare un clone. La vita di Celia II tuttavia fu breve: dopo soli 7 minuti morì per un difetto polmonare.
La tecnica del patch genetico risulta invece essere la più gettonata per riportare in vita il mammut lanoso. Il progetto prevede di estrarre il DNA del mammut, selezionare i geni identificatori della specie e trasferirli nel DNA di un elefante. Questo approccio non produce copie geneticamente identiche agli animali estinti, ma animali simili nell’aspetto e nel comportamento. La stessa tecnica è, a detta degli esperti, la più indicata per risvegliare anche il piccione migratore, estintosi nel 1914. Simbolo della morte causata dall’uomo, il mammut è sicuramente l’animale più affascinante tra i possibili prossimi alla rinascita. Dotato di lunghe zanne ricurve, di una notevole mole, appesantita ulteriormente da una pelliccia lanosa è l’estremo rappresentante della prima storia dell’uomo. Il piccione migratore, di più recente estinzione, invece, rappresentò un avvertimento per gli americani. Dopo la sua scomparsa l’interesse per la salvaguardia degli animali crebbe notevolmente. Ma, mettendo da parte la portata simbolica, quali sono le ragioni per prediligere il risveglio di alcune specie al posto di altre?
La de-estinzione, assicurano gli studiosi, non è un capriccio, ma un atto per la salute del pianeta. Non solo la biodiversità trarrebbe vantaggio da eventuali rinascite, ma ruoli ecologici ormai scomparsi verrebbero ripristinati. “Lo scopo di queste ricerche è ricostruire gli antichi equilibri che sono stati alterati, quasi sempre per effetto dell’uomo”, ha spiegato Donato Matassino, ricercatore a capo del progetto europeo per riportare in vita l’uro, il bue primigeno estintosi nel 1600. Ogni animale scomparso aveva una sua funzione specifica: la missione degli scienziati è riattivarla. La precedenza verrà data alle specie che rispettano il criterio di maggiore utilità. “Quando dieci millenni fa il mammut venne ucciso dall’uomo la prateria si trasformò in tundra” ha dichiarato Sergey Zimov, scienziato russo fondatore del Pleistocene Park della Siberia. Perché la steppa è così importante? La tundra che ha preso il suo posto, scongelandosi, rilascia gas serra. Al contrario, la prateria avrebbe trattenuto il carbonio, contenendo il riscaldamento globale.
Persino il ruolo esercitato dalla colomba migratrice non è da sottovalutare. Le foreste del Nord America non sono state più le stesse dopo la sua estinzione. Le querce bianche hanno infatti perso chi disperdeva i loro semi. L’uro, invece, calpestando il pascolo, impediva ai cespugli di crescere, mantenendo in equilibrio il suo ambiente naturale. In conclusione, secondo i ricercatori, il ripopolamento della Terra con animali estinti permetterebbe di salvare il nostro pianeta dal declino e riportarlo alla prosperità perduta. Ma questo investimento non convince affatto gli ambientalisti. Infatti, il metodo “a tutto c’è rimedio, perfino alla morte” proposto dagli scienziati potrebbe portare effetti negativi sulla salvaguardia degli animali ancora esistenti. Ciò che è certo è che ci vorranno decenni prima che il mammut compia un nuovo primo passo o che il piccione migratore torni a librarsi in volo. La de-estinzione è di fatto ancora lontana, ma il dibattito rimane aperto.