L’Euro imploderà molto presto perché è nato male, senza i necessari presupposti economici e sociali in grado di rendere coesa e duratura l’unione.
Partiamo dal dato fondamentale: perché si possa mettere in comune la moneta tra diversi stati, è necessario che ciò avvenga in un’area “monetaria ottimale“. Gli stati che ne faranno parte, devono essere simili riguardo i parametri economici fondamentali: inflazione, debito pubblico, deficit, qualità della struttura produttiva, ecc. Con l’Euro è successo tutto il contrario: si sono messi insieme potenze economiche come la Germania a bassa inflazione, basso indebitamento, con nani come la Grecia, il Portogallo e gli altri paesi mediterranei portatori d’inflazione e debiti pubblici elevati. Era di per se evidente che si trattava di una contraddizione fondamentale che avrebbe impedito all’unione di funzionare, come, infatti, sta accadendo.
Mettere insieme paesi ad alta inflazione con nazioni virtuose come la Germania, ha significato creare uno squilibrio interno all’unione, molto grave perché ha reso le merci tedesche più competitive rispetto a quelle dei paesi mediterranei. Perdita di fette di mercato per quest’ultimi, vantaggio secco per quelle teutoniche che hanno cominciato a macinare record d’esportazione a danno dei più deboli. Non a caso la Germania ha accumulato il proprio surplus commerciale per due terzi verso i paesi mediterranei.
L’euro, poi, impedisce la svalutazione della moneta, una misura attuata nelle fasi economiche recessive che favoriva l’export attraverso il conseguente abbassamento dei prezzi. Non c’è niente di male, infatti ad aggiustare i cambi in queste situazioni. Si tratta di una misura contingente da utilizzare in maniera appropriata e consapevole. Il nostro paese l’ha usata nei momenti bui per rilanciare l’economia che, infatti dopo le svalutazioni, ha sempre ripreso a correre. Venendo a mancare questa fondamentale misura, “l’aggiustamento” alla situazione recessiva avviene internamente (non potendo usare la leva esterna) attraverso il calo dell’occupazione. Le aziende licenziano perché l’economia è in recessione e le merci prodotte non vengono acquistate. La conseguenza e la progressiva deindustrializzazione del paese (si calcola che circa il 15% di tutta la nostra struttura manifatturiera abbia chiuso,), e il boom della disoccupazione che ha toccato il 13% (il 42,5% tra i giovani) nel nostro paese, mentre in Germania siamo al 5,1%.
Nel 2013 la cassa integrazione è arrivata a quota un miliardo di ore, con poco meno di 520 mila lavoratori a zero ore che hanno subito un taglio del reddito di 3,8 miliardi di euro, ovvero 7.300 euro in meno per ogni singolo lavoratore. Sfondata», per la terza volta dall’inizio della crisi, la quota di un miliardo di ore di cassa integrazione, non lontani dall’anno record del 2010 quando si raggiunsero oltre 1,2 miliardi di ore e dal 2012 che ne totalizzo’ invece 1,1 miliardi. Un vasto numero di aziende sono sopravvissute perché l’eccellenza e le maestranze italiane non sono seconde a nessuno e nonostante un Euro con una valutazione folle (1,38 sul dollaro) hanno trovato sbocco nei mercati internazionali e hanno salvato fatturati ed occupazione. Anche in questo l’Europa non è esistita, anzi mette solo i bastoni fra le ruote con questi livelli di cambio.
In pratica l’Euro ha praticato un colossale trasferimento di produzione industriale da tutti i paesi periferici verso la Germania, come conseguenza dell’invariabilità dei cambi che consente al sistema inflattivo (quello tedesco) più efficiente, di sottrarre ampie quote di produzione. Considerando che i sistemi industriali europei subiscono la concorrenza della manifattura asiatica, questa situazione l’ha aggravata pesantemente. La nostra bilancia dei pagamenti è in negativo mentre prima dell’Euro, era in positivo. Il nostro PIL in caduta libera, stipendi inchiodati che con l’inflazione anche bassa, si sono persi il 9% del potere d’acquisto. Consumi indietro di 15 anni, credito strozzato, boom di fallimenti, debito pubblico più 800 miliardi, spread impazzito che è rientrato solo da sei mesi in situazione “normale”. Per non parlare dell’assenza di una politica comune su tutti i più importanti nodi sociali: immigrazione, politica estera, politica economica, assetto delle istituzioni politiche e dei poteri decisionali, politiche agricole e aiuti alle aree deboli.
L’Italia avrebbe tutto da guadagnare ad uscire da questa camicia di forza, e le conseguenze del ritorno alla nostra valuta nazionale non sarebbero così drammatiche e tragiche come i fautori di questa falsa unione continuano a propinare. Ci sono molti altri motivi che innescheranno la fine di questo Euro-marco che morirà per le contraddizioni interne e le evidenti e macroscopiche ingiustizie di cui è portatore, a noi non resta che ragionare seriamente se non sia il caso di riprendere la nostra sovranità economica, politica ed istituzionale se purtroppo,le cose rimarranno come adesso, pena il declino irreversibile dell’Italia e dei paesi mediterranei.