Le notizie che arrivano dal lato meno “gettonato” dell’Europa ad un Paese geograficamente quanto mediaticamente lontano, quale l’Italia, spesso risultano per la popolazione prive di un fondamento. Questo, perché i media che diffondono news tendono a tralasciare il background storico, spesso e volentieri sconosciuto alla maggior parte dei cittadini. La guerra civile in Ucraina è abbastanza recente, ma i tumulti che hanno mosso la popolazione ad agire così nell’attuale risalgono alla Seconda Guerra Mondiale, quando questo Paese fu manipolato insieme con la Polonia dai russi sovietici ad est e dai tedeschi antisemiti ad ovest.
Entriamo nel dettaglio: verso la fine della Seconda Guerra Mondiale, la Polonia si mostrò unita contro gli invasori sovietici quanto verso i tedeschi, mentre la maggior parte dell’Ucraina si affidò agli “aiuti” di Hitler. Il motivo riguardava il tipo di governo che già nella metà orientale del Paese i russi sovietici avevano instaurato: questo tipo di approccio fece sì che i tedeschi si profilassero come i salvatori del popolo contro la minaccia opposta. La sconfitta di quella che sembrava la fine del terrore arrivò quando i brutali modi dei sovietici furono sostituiti dai campi di concentramento che caratterizzarono l’Olocausto a danno degli ebrei. Un caso particolare fu rappresentato dalla regione della Volinia, dove fu attuata la famosa “pulizia etnica” ad opera dei membri dell’Organizzazione dei Nazionalisti Ucraini (Oun): furono 200.000 le vittime, tra i cui omicidi vi furono anche migliaia di poliziotti.
Dopo il declino dell’armata tedesca, all’incirca tra il 1943 ed il 1944, la popolazione ucraina si scagliò contro la Polonia, con delle nuove truppe formate dalle forze armate ucraine e dai partigiani attivisti dell’Esercito Insurrezionale. Polonia ed Ucraina continuarono a battagliarsi alternativamente, con un bilancio finale approssimativo di circa 90.000 decessi di civili polacchi e circa 20.000 perdite tra gli ucraini.
La Russia entrò in gioco con un ruolo preminente tra le due fazioni dal 1944, quando i sovietici attuarono un piano di revisione dei confini polacco-ucraini e la completa separazione etnica dei membri delle due fazioni. Le stime parlano chiaro: oltre 780mila polacchi e 500mila ucraini furono deportati nel proprio Paese d’origine con i modi brutali che da sempre avevano caratterizzato i russi sovietici, causando, seppur in parte, le rappresaglie e la violenza che ad oggi ancora si manifestano. Da quel momento, l’Ucraina restò intrappolata nella propria economia e sotto il “controllo” della Russia, almeno finché lo Stato non decise di tentare l’integrazione nell’UE.
L’accordo di libero scambio che l’Ucraina stava per firmare con i leader dell’Unione Europea era rimasto in sospeso per anni e, una volta concordato tra le due parti, sembrava che nulla potesse impedire la rapida ascesa dello Stato ucraino. Purtroppo, il 21 novembre 2013, il Parlamento ucraino bocciò un’importante legge, che avrebbe permesso la scarcerazione di Yulia Tymoshenko, ex-Primo Ministro ucraino e rivale politico dell’attuale leader ucraino, Viktor Janukovyč. L’ex-politico era stata arrestata nel 2011 per abuso di potere e costituiva una condizione essenziale del patto che avrebbe permesso all’Ucraina di stringere significativi accordi economici con l’Unione Europea. Tuttavia, Janukovyč, palesemente filo-russo, non poteva accettare il rientro di un rivale politico nella vita cittadina del Paese e per questo è stato egli stesso ad annunciare, quello stesso 21 novembre, che i possibili accordi con l’UE erano saltati.
Da allora, i fatti in Ucraina si sono svolti in breve tempo: l’accordo avrebbe potuto permettere una crescita a dir poco esponenziale per l’economia del Paese, ancora chiuso in se stesso e dimenticato dal resto d’Europa. A metà Dicembre, Janukovyč strinse un patto con la Russia, con il quale Putin ha preso il totale controllo dello Stato confinante ed impedito che fosse l’UE a profilarsi come salvatore del popolo ucraino. Già da quel momento, tra gli attivisti della popolazione cominciarono i primi tumulti, perché tutto lasciava intendere che Janukovyč avesse svenduto l’Ucraina a Putin: ancora una volta, il paese si era ritrovato assoggettato da uno Stato di maggiore imponenza.
Ad aggravare la situazione, le leggi approvate il 22 gennaio 2014, volte a limitare la manifestazione di dissenso popolare verso le scelte del capo di Stato e prevedevano aspre sanzioni (fino a cinque anni di carcere) per i dimostranti di proteste non autorizzate. Peraltro, è choccante che queste norme furono votate per alzata di mano, senza che sia stato tenuto conto della maggioranza del parlamento: furono definite leggi “incostituzionali”, ma l’opposizione non poté nulla contro lo stato delle cose.
Più che altro, le proteste popolari hanno avuto luogo in Piazza Indipendenza della capitale ucraina, Kiev, dove, da quel famoso 22 gennaio, hanno avuto inizio rappresaglie contro la Polizia di Stato, che ha cominciato lo sgombero dei manifestanti nella cittadina. Dopo due giorni, Janukovyč propose una tregua alle opposizioni, ma durò soltanto qualche ora, concedendo anche la possibilità a due politici ucraini di ricoprire i ruoli di Primo Ministro e Vice-Primo Ministro. Di tutta risposta, i due rifiutarono gli incarichi e, di contro, proposero che fosse il leader filo-russo a dimettersi, ma era prevedibile che Janukovyč non avrebbe accettato.
Nonostante le leggi anti-proteste siano state abolite dal Parlamento ucraino il 28 gennaio, il Paese resta in mano allo stesso assetto politico e Kiev continua ad essere luogo di stragi da parte degli opponenti al governo e della Polizia, incaricata di sedare le manifestazioni. Per ora, le vittime civili ammontano ad un centinaio, mentre sarebbero 67 gli agenti di Polizia catturati dagli opponenti al governo. Restate aggiornati sulla situazione con VNews24.it!