case chiuse

Le lucciole raccontano com’erano le case chiuse, 60 anni fa l’abolizione

Nel 1948 Angelina Merlin, sostenuta da Umberto Terracini, presentò in Parlamento il suo disegno di legge per l’abolizione delle case chiuse in Italia e l’introduzione dei reati di sfruttamento, induzione e favoreggiamento della prostituzione. Dopo un dibattito durato 10 anni il 20 febbraio 1958 il disegno di legge venne approvato, e le case chiuse abolite.

I bordelli nel 1948 erano 700 e le donne che vi lavoravano erano circa 3000. Tuttavia più che di lavoro si trattava di schiavitù, le donne dovevano garantire un numero di rapporti sessuali quotidiano (oltre i 30), con orari piuttosto martellanti (dalle 10 all’una, dalle 2 alle 8, dalle 9 alle 24). Le donne erano inoltre ammassate in questi bordelli, quasi nessuna aveva una stanza singola, e qualcuna non aveva nemmeno un proprio materasso. Molte di loro erano mamme e avevano figli da sfamare ed è proprio per quello che si davano al mestiere, una carriera però che a soli 40 anni solitamente arrivava al capolinea.

Una volta meretrice non si poteva più tornare indietro, nessuno voleva a lavoro una donna che era stata del mestiere. Non era neppure concesso che aprissero un negozio, e in alcuni casi che si sposassero. Alcune di queste donne scrissero alla Merlin per spiegare la loro situazione e per chiedere aiuto: «Non ti lasciano che il tempo di mangiare e di lavarti la faccia». «Non è vero che una donna può rifiutare qualche cosa al cliente… cliente scontentato, rinnovo perso… e la voce corre e le case non vogliono donne “schizzinose”».

Ma non tutte erano poi così scontente, alcune erano a favore dell’istituzione: «Cara Merlin, alla Camera la legge non passerà! Vi sono giovani robusti che vogliono fare all’amore al sicuro, ed i militari si solleveranno se chiuderanno le nostre case!» Ma la legge passò e la case chiuse vennero trasformate  in patronati per l’assistenza alle ex prostitute assai mal gestiti.