Si è tenuto ieri – 18 gennaio – nell’aula bunker del carcere di Lecce il processo a carico di Salvatore Carfora, accusato di aver ucciso a coltellate l’ex fidanzata Sonia Di Maggio per le strade di Specchia Gallone (Minervino di Lecce). Il 39enne di Torre Annunziata avrebbe portato con sè l’arma da Napoli, per poi infliggere 31 coltellate all’ex compagna 29enne e fuggire. Carfora ha nascosto il suo gesto dietro “alla rabbia del momento”, scaturita dal rifiuto di Sonia. La ragazza, infatti, era stanca di un rapporto malato e aveva deciso di restare a Lecce con il suo nuovo fidanzato. Secondo le prove raccolte, invece, l’uomo era partito da Napoli con l’intenzione di uccidere. Contro Carfora è stata raccolta anche la testimonianza del convivente di Sonia, presente al momento dell’aggressione. Secondo il testimone Carfora avrebbe agito senza dire niente alla sua vittima, colpendola ripetutamente e in maniera rapida.
In tribunale l’assassino ha cercato di scusarsi con la madre della ragazza – costituitasi parte civile nel processo – chiedendo pubblicamente perdono. Ma la pm ha definito le sue scuse “senza alcuna emozione”. Il 39enne, infatti, ha continuato a fornire una versione falsa dei fatti, raccontando di avere con sè il coltello esclusivamente per ragione di difesa personale, legate alla sua condizione di senza fissa dimora. Versione smentita dal compagno di Sonia – che avrebbe cercato di salvarla – e dalla madre dello stesso Carfora, che ha ribadito la natura turbolenta del rapporto fra suo figlio e la giovane donna. Ad inchiodare Salvatore è stata poi la testimonianza dell’autista dell’autobus preso dall’assassino per raggiungere il luogo del delitto. Ai giudici ha infatti raccontanto che Carfora, una volta vista la coppia, avrebbe gettato lo zaino per poi scagliarsi immediatamente contro la ragazza.
Il 15 febbraio toccherà alla requisitoria del pm e poi alle discussioni legali.
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