L’Ema ha deciso di proseguire con le proprie opinioni.
Al momento, non ci sono dati a sostegno di una quarta dose di vaccino per la popolazione generale.
L’Agenzia Europea del Farmaco ritiene sufficiente la protezione offerta dalle tre dosi dei vaccini disponibili, che dimostrano un’ottima efficacia nei confronti delle forme severe di Coronavirus.
Più probabile il richiamo vaccinale in autunno, in previsione di una nuova epidemia nei mesi freddi.
Le modalità, però, saranno definite solo nei prossimi mesi.
Coronavirus e quarta dose di vaccino: cosa sappiamo
Il capo della taskforce ema in merito ai vaccino, Marco Cavaleri, ha ricordato, nel corso di una conferenza stampa che “i dati sembrano indicare che la situazione non sia cambiata con l’arrivo di Omicron 2. Per ora il secondo booster vaccinale rimane consigliato solamente per i pazienti immunocompromessi e, in alcune nazioni Ue, per gli over 75“.
“Avrete letto – continua Cavaleri – le dichiarazioni di alcuni produttori di vaccini che affermano la necessità di una seconda dose booster.
Voglio ripetere che da un punto di vista regolatorio non ci sono ancora dati provenienti da studi clinici o osservazionali sufficienti a supportare la raccomandazione di una seconda dose booster nella popolazione generale”.
“L’Ema – ha assicurato Cavaleri – valuterà valuterà attentamente i dati non appena saranno messi a disposizione dell’agenzia, in previsione della nuova campagna vaccinale che potrebbe arrivare il prossimo autunno, in previsione della nuova stagione fredda”.
Il nuovo studio
Un nuovo studio, pubblicato sul New England Journal of Medicine dallo Sheba Medical Center di Telaviv, ha valutato l’efficacia della quarta dose su circa 300 operatori sanitari.
Le analisi hanno rivelato un aumento della produzione di anticorpi che ne riporta i livelli a quelli osservabili in seguito alla terza dose di vaccino.
Il secondo booster con Pfizer ridurrebbe di un ulteriore 30% il rischio di infezione e di un 43% quello di sviluppare una malattia sintomatica.
Per il vaccino Moderna i numeri sono ancora più contenuti: 18% in meno di probabilità di infezione e 31% in meno per la malattia sintomatica.
Si tratta di percentuali poco significative che rendono i benefici per persone relativamente giovani e in salute – si legge nelle conclusioni della ricerca – probabilmente marginali.