Renzi si era preoccupato di cancellarla nel decreto “Salva-Roma”, ma pare che la Web Tax sia stata menzionata nel più recente decreto fiscale e che possa tornare in vigore, nonostante ci fossimo illusi del contrario. Denominata in principio “Google Tax”, la Web Tax è un’imposta che devono pagare tutte le aziende online straniere che guadagnano dalla diffusione del proprio materiale in Italia, come per le inserzioni pubblicitarie. Questa tassa era stata voluta da Boccia e Fanucci del Pd, ma era stata contrastata con successo, perché considerata protezionistica, invogliando gli investitori esteri a portare i propri affari altrove, dato l’elevato costo che il mercato italiano comporterebbe.
Anche l’UE potrebbe decidere di prendere provvedimenti riguardo l’infrazione di una delle regole comunitarie che l’entrata in vigore della Web Tax potrebbe violare. Infatti, una di queste norme prevede che ciascuno degli Stati Membri possa “esercitare un’attività economica in un altro Stato membro su base stabile e continuativa o offrire e fornire i loro servizi in altri Stati membri su base temporanea pur restando nel loro paese d’origine“. Renzi riuscì ad escludere la presenza della Web Tax dal decreto “Salva-Roma”, ma questa tassa sembra essere ricomparsa nel decreto fiscale approvato dalla Camera giovedì scorso, come fa notare l’Ansa.
Quest’imposta colpirà indiscriminatamente i siti appartenenti alla categoria descritta di sopra: da Google ad Amazon ai social network come Facebook e Twitter, le divisioni italiane di questi grandi siti rischiano di essere penalizzate, così come l’Italia stessa. Se, infatti, la Web Tax sortirà l’effetto che meno ci auguriamo, il Paese rischia di finire limitato alle attività delle sole società italiane e di essere mediaticamente tagliato fuori dalle multinazionali estere, che negli ultimi anni hanno investito nel mercato italiano. Sostanzialmente, la Web Tax obbligherebbe qualsiasi società che voglia estendere i propri servizi legati al commercio elettronico ad aprire una partita Iva in Italia.
Infatti, in merito all’articolo 9 del documento, che riguarda i metodi di anti-evasione ed anti-elusione, si legge come sia prevista “l’introduzione di sistemi di tassazione delle attività transnazionali, ivi comprese quelle connesse alla raccolta pubblicitaria, basati su adeguati meccanismi di stima delle quote di attività imputabili alla competenza fiscale nazionale“. Insomma, per tradurre il gergo tecnico in linguaggio d’uso comune, tutte le società che operano tramite internet e che hanno sede al di fuori dell’Italia dovranno dare conto del guadagno ottenuto nel nostro Paese, tramite il pagamento dell’apposita tassa.
Tuttavia, l’introduzione effettiva della Web Tax nell’ordinario non è un fatto certo: il decreto fiscale appena approvato dalla Camera corrisponde a quanto il governo dovrebbe attuare nell’immediato, ma solo in teoria. Nella pratica, infatti, tale dovere non corrisponde a legge e starà allo stesso governo se assecondare la scelta del Parlamento, oppure contraddirla. Già dopo la cancellazione della Web Tax dal decreto “Salva-Roma”, Renzi rinviò il discorso ad un “quadro di legislazione europeo”. Ora si può solo sperare che egli, in qualità di neo-Presidente del Consiglio, tenga fede a quanto operato finora.