Washington – Dopo la scoperta dei nuovi modi d’intendere i selfie, come vanto per le proprie prestazioni sessuali o come scherno verso i meno fortunati barboni di città, questa moda diventa una malattia mentale. Ebbene, sì: la parola dell’anno 2013 adesso sta per un disturbo che manifesta profonde insicurezze insite in chi è diventato amante dell’autoscatto prontamente postato sui social network. A diffondere la notizia non è il solito blog scandalistico dalle fonti al solito inattendibili, ma niente meno che il riferimento di maggior rilevanza nella pratica psicologica.
L’American Psychological Association, ente di riferimento internazionale per gli psicologi di tutto il mondo, ha definito una nuova patologia per chi manifesta disturbi mentali nell’ossessione per i selfie. Gli autoscatti utilizzati in tutti i social network come personale ed intima forma d’espressione sembrano essere considerati il sintomo di gravi carenze di autostima. La nuova patologia è stata chiamata “Selfitis”, che in italiano corrisponde a: “Selfite”. Di fatto, gli psicologi dell’APA hanno localizzato nei soggetti che soffrono di questa psicopatologia un vero e proprio bisogno ossessivo compulsivo di scattare foto a se stesso per pubblicarle sui social network, principale veicolo dei selfie.
Ciò avviene, per dirla tutta, al fine di colmare lacune della propria psiche legate all’intimità della persona. L’APA ha persino creato una scala che permetta agli psicologi di graduare la gravità del disturbo e, quindi, anche il tipo di approccio verso i soggetti che ne sono affetti. Sono stati individuati tre principali divisioni: borderline, acuta e cronica. Nel primo caso rientra chi scatta un minimo di tre selfie al giorno, senza pubblicarli online, mentre chi opta per la pubblicazione di tutti i propri selfie giornalieri rientra nel secondo caso. Raggiunge la massima gravità il paziente cronico, attanagliato da un desiderio irrefrenabile di pubblicare più di sei volte al giorno le proprie foto, senza riuscire a trattenersi.
Di una vera e propria “terapia” non si è ancora parlato, tuttavia gli psicologi dell’APA assicurano che un intervento di tipo cognitivo-comportamentale (CBT) può essere efficace per ottenere miglioramenti sul piano sintomatico. Tuttavia, data la natura della patologia, è probabile che la terapia di tipo psicoanalitico possa trovare maggiori risposte riguardo le lacune dell’autostima del paziente.