INDIA – La 13enne Aradhana Samdariya è morta lo scorso 4 ottobre a seguito di un arresto cardiaco provocato dal prolungato digiuno cui si sottoponeva da ben 68 giorni. Secondo il capo della polizia locale, la ragazza stava digiunando per il periodo sacro del Choumass, considerato di buon auspicio dalla minoranza religiosa a cui appartiene, i giainisti. Al momento, i genitori della 13enne sono indagati per omicidio colposo. “Dobbiamo capire se la famiglia ha esercitato una qualche forma di coercizione” hanno dichiarato gli inquirenti.
Secondo quanto dichiarato dai genitori della ragazza, Aradhana era molto religiosa e prima di iniziare l’upvas aveva chiesto il permesso alla famiglia. “Le abbiamo chiesto di interrompere il digiuno dopo 51 giorni – ha affermato il padre, Lakshmichand Samdariya – ma lei non si è arresa”. Dopo 68 giorni, la ragazza ha interrotto la dieta ma ormai il suo fisico era talmente debilitato che i medici non hanno potuto fare nulla per aiutarla quando è arrivata all’ospedale in coma. “Avrebbero dovuto fermare la ragazza, non incoraggiarla”. Questa è l’accusa che il Junevile Justice Act, associazione per la tutela dei minori, ha mosso contro i genitori della ragazza, accusandoli di omicidio colposo e violazione dei diritti dei bambini.
I giainisti sono circa l’1% della popolazione indiana. Per loro, la pratica del digiuno è considerata un’esperienza religiosa molto profonda che talvolta però finisce in tragedia. Aradhana infatti non è stata la prima vittima di una simile pratica: l’ultima, una 82enne, risale allo scorso agosto. Per evitare il ripetersi di queste tragedie, il tribunale di uno stato indiano aveva cercato di rendere questa usanza religiosa punibile per legge. L’idea era di equiparare il digiuno, soprattutto se prolungato, al suicidio, ma la Corte Suprema ha respinto la richiesta consentendo ai giainisti di continuare con la pratica.